In Italia abbiamo il vizio, ormai cronico, di complicare le cose semplici. Una delle espressioni più emblematiche di questa tendenza è l’ormai onnipresente “costruzione dal basso”. Un mantra ripetuto da telecronisti, opinionisti, allenatori di provincia e tifosi da tastiera come se fosse una verità calcistica rivelata, un dogma moderno che separa il calcio “antico” da quello “evoluto”.
Ma fermiamoci un attimo. Guardiamo oltre confine. In Spagna, terra che ha cresciuto generazioni di centrocampisti dai piedi raffinati e cervelli lucidi, nessuno parla ossessivamente di salida desde atrás come fosse un'ideologia. In Portogallo, patria di tecnici innovativi e calciatori pensanti, non sentirete invocare la “costruzione dal basso” come se fosse una scienza segreta. Lì, semplicemente, si gioca a calcio. Punto.
Quello che altrove è normale – far girare la palla, pensare prima di lanciarla, iniziare l’azione con il portiere se serve – da noi diventa un’etichetta roboante. “Costruzione dal basso” fa sentire moderni, ma spesso è più un effetto scenico che sostanza. È come se avessimo bisogno di appiccicare un nome trendy per sentirci al pari con l’Europa, invece di farlo diventare parte integrante del DNA del nostro calcio.
Sembra quasi che ci si debba giustificare per voler giocare la palla invece di spazzarla. Che per farlo servano ore di lezione tattica e powerpoint, mentre altrove i bambini imparano a “giocare” davvero fin dai primi calci. Noi siamo ancora lì, a chiederci se “costruire dal basso” sia troppo rischioso in Serie B, come se stessimo parlando di tecnologia atomica anziché passaggi a due metri.
Forse non ci abbiamo mai pensato seriamente, ma questo approccio terminologicamente ossessivo e culturalmente sovrastrutturato può influenzare anche i nostri giovani. Se tutto viene avvolto in dogmi e definizioni altisonanti, quei ragazzi che scendono in campo con un’idea semplice — passare, muoversi, divertirsi — rischiano di scontrarsi con un sistema che valuta più le parole che il talento. In Spagna e Portogallo, i giocatori crescono con la libertà di esplorare il gioco, senza sentirsi sbagliati se non incastrano perfettamente la “costruzione dal basso”. Da noi, invece, a volte serve pareggio perfetto sul powerpoint, grafici di supporto, e consenso tattico. E così qualche talento puro, abituato a sentire solo “gioca e divertiti”, rischia di perdersi nel labirinto di definizioni e concetti che non portano ovunque frutti sul campo.
L’uso smodato di certi termini non è solo semantico, è un riflesso di una cultura calcistica che fatica a evolversi davvero. Preferiamo impacchettare la novità in una formula piuttosto che assorbirla naturalmente. In Spagna, non serve definirlo: si gioca, si propone, si costruisce, si pensa. Senza etichette fittizie.
È arrivato il momento di smettere di usare “costruzione dal basso” come cameo esotico da esibire. Iniziamo a pensare il calcio in modo autentico, senza ossessioni lessicali. Comprendiamo che ciò che chiamiamo “costruzione dal basso” potrebbe essere semplicemente giocare bene. E se continuiamo a sentirci inadeguati senza un nome roboante per farlo, forse il vero problema non è il calcio, ma il modo in cui lo abbassiamo a definizioni complicate.
...E DA BARCELONA É TUTTONIK
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